Nella piena consapevolezza della grande importanza che assume nella storiografia locale, la ricorrenza del Cinquecentenario della Battaglia di Ravenna (11 aprile 1512 – 11 aprile 2012), l’Associazione Classe Archeologia e Cultura ha promosso e organizzato, in collaborazione con l’Associazione culturale Ipazia, un ciclo di quattro conferenze dal titolo “Battaglia di Ravenna e dintorni”. Gli incontri sono stati organizzati e coordinati da Paola Novara, archeologa ed esperta di storia locale, che ha infuso grandi energie all’iniziativa storico-culturale. Il primo di questi appuntamenti si è tenuto a Classe, presso la Casa dei Ragazzi, il 23 agosto 2011; sono poi seguiti quello del 16 settembre alla Casa delle Meridiane, del 5 ottobre alla Sala D’Attorre e del 19 ottobre alla Casa Matha. Un particolare ringraziamento, per il competente contributo portato all’iniziativa, va ai relatori Fulvia Fabbi (Il territorio della Battaglia. Conoscenze, controllo, cartografia), Piero Mazzavillani e Andrea Santangelo (Quel che resta di una Battaglia), Mauro Mazzotti (La “rivoluzione militare” nella Battaglia di Ravenna), Paola Novara (La Ravenna della Battaglia).
Fausto Stradaioli
La Battaglia di Ravenna
Io venni dove le campagne rosse
Eran del sangue barbaro e latino
Che fiera stella dianzi a furor mosse
E vidi un morto all’altro sì vicino
Che, senza premer lor, quasi il terreno
A molte miglia non dava il cammino.
Con questi celebri versi, Ludovico Ariosto descrisse da testimone oculare, l’orribile massacro compiutosi l’11 aprile 1512, domenica di Pasqua, nelle campagne tra Classe e il fiume Ronco. A fronteggiarsi, nel quadro delle guerre combattute tra Spagna e Francia per il controllo dell’Italia, furono l’esercito della Lega Santa (pontifici, spagnoli e veneziani) costituitosi su iniziativa del pontefice Giulio II e l’esercito francese guidato dal ventitreenne Gaston de Foix, duca di Nemours, nipote del re di Francia Luigi XII.
La conferma della strage consumatasi in quel giorno viene anche dall’ambasciatore fiorentino Francesco Pandolfini, presente sul campo di battaglia, che scrisse nella sua relazione: “mai si vidde spettaculo più crudele, che il luogo dove era stata la zuffa; in quello si vedevano i monti degli uomini morti e mezzimorti sotterrati infra le armi e tra cavalli; di poi per tutto il piano per spazio di sei miglia pieno d’uomini suti dagli arcieri nella fuga scannati”.
L’esercito francese, che comprendeva i temutissimi Lanzichenecchi, truppe mercenarie inviate dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo e le milizie del duca Alfonso I d’Este, era giunto a Ravenna l’8 aprile, dopo aver espugnato nei giorni precedenti Cotignola e Russi. All’alba del giorno successivo iniziarono i cannoneggiamenti e gli assalti alle mura della città, che i Ravennati riuscirono a respingere, infliggendo gravi perdite ai nemici. In aiuto alla città assediata, giunse nel frattempo l’esercito della Lega Santa, che pose il campo nei pressi del Molinaccio (S. Bartolo). La mattina dell’11 aprile, nelle campagne lungo la riva destra del fiume Ronco, si scatenò il sanguinoso scontro tra i due eserciti, con l’attacco francese al campo trincerato ispano-pontificio, in cui assunsero un ruolo determinante le armi da fuoco, in particolare le artiglierie. La battaglia di Ravenna, alla quale parteciparono i più famosi condottieri e capitani di ventura dell’epoca, costò la vita ad alcune migliaia di soldati e uomini d’arme, da 10.000 a 20.000 secondo le varie fonti. L’esercito francese, con il supporto determinante dell’artiglieria ferrarese, particolarmente efficace con la tecnica del tiro incrociato, vinse la battaglia, ma perse il giovane comandante Gaston de Foix, sopraffatto durante l’inseguimento di un reggimento di fanti spagnoli in ritirata. Dopo la sconfitta dell’esercito della Lega Santa, i Ravennati decisero di arrendersi ai Francesi e inviarono una ambasceria per concordare i termini della capitolazione. Le condizioni della resa non furono però rispettate, infatti la mattina del 12 aprile alcuni reparti dell’esercito vittorioso irruppero entro le mura e diedero sfogo a saccheggi, violenze e uccisioni che prostrarono definitivamente la città. La battaglia di Ravenna rappresentò un punto di svolta nell’evoluzione dell’arte militare. Fu infatti l’ultima battaglia in cui la cavalleria svolse un ruolo di grande rilevanza e la prima in cui l’artiglieria si rivelò risolutiva per l’esito dello scontro, segnando il definitivo declino della cavalleria pesante.
La località di Classe, per la sua vicinanza al luogo della battaglia, è frequentemente riportata nelle testimonianze e nelle cronache dell’epoca. Il diarista veneziano Marin Sanudo scrisse: “E questo fato d’arme è stà fato mia (miglia) due lontan di Ravena, su li prati di Classis.”
Il canonico Pedro de Torres, al seguito dell’esercito spagnolo, nella sua relazione riportò altri riferimenti al territorio classense: El lugar ó sitio donde se dió la batalla se llama Campatel, casi dos millas de Rávena, y junto á este Campatel, hácia la parte del Poniente y del Levante, están dos iglesias que son dos abadias de mucha renta, que se llama la una Santa Apolinaireis Inclase, y la otra Santa Severa (Il luogo dove si svolse la battaglia si chiama Campatel, a quasi duechilometri da Ravenna; nei pressi di questo luogo, guardando da occidente a oriente, si vedono due chiese, due grandi abbazie, una si chiama Sant’Apollinare in Classe, l’altra San Severo). La batalla fue entre dos rios Ronco y Sabio, en un llano que se dize sobre Classe de Rabena junto con el bosqueto de Sabina, donde stava el artillaría spanyola (La battaglia si svolse tra i fiumi Ronco e Savio, nella pianura di Classe di Ravenna, nei pressi del bosco Standiano, dove era posizionata l’artigliería spagnola).
Nella pubblicazione a cura di Giancarlo Schizzerotto, Otto poemetti volgari sulla Battaglia di Ravenna, il solo autore a citare la località di Classe è il canonico lughese Giraldo Podio, che nel poemetto Historia vera de tutto il seguito a Ravenna: et dil tristo fine de assai iniqui capi Franzosi con li Spagnoli morti e restati presoni scrisse: “[…] Spagnoli era firmato / per soccorrer la terra (Ravenna)/ un meglio vicin era: / Clasi è’l loco chiamato; […] Ancor si vi è trovato / monsignor de Plasi: / in sto luocho de Clasi / arme e vita ha lasato.”
Possiamo solo immaginare, con quale angoscia i monaci classensi vissero quella domenica di Pasqua del 1512, di fronte al terribile spettacolo rappresentato dallo scontro armato di oltre sessantamila soldati. Il frastuono dello scontro armato echeggiò in tutto lo spazio circostante: cavalieri, picchieri, arcieri, balestrieri, moschettieri e artiglieri si fronteggiarono nella piana di Classe, dominata dal campanile di S. Apollinare, in assoluto il migliore punto d’osservazione sul campo di battaglia. I camaldolesi di Classe, non furono solo spettatori del feroce scontro, ma il 12 aprile subirono la violenta aggressione dei Francesi, che entrati nel monastero per fare razzia, non esitarono ad uccidere l’abate Andrea Sacchini, che si era opposto. Il cenobio classense, che nel 1515 avrebbe trasferito la propria sede nel nuovo monastero di città, redasse una Notta de li danni subiti durante il devastante saccheggio operato dalla soldataglia guascone.
Rossano Novelli